L’azienda di Rescaldina ha industrializzato il processo di lavorazione dei compositi in carbon fiber, il materiale più utilizzato nelle costruzioni edili, nell’automotive, nell’elettronica, nei robot. Come? Unendo alla competenza tecnica ingegneristica le soft skill. Ricerca applicata e innovazione tra le fondamenta dell’impresa. Ne parliamo con l’azionista e ad Riccardo Sotgiu

 

Lavorare sul carbonio, e soprattutto sulla fibra di carbonio, significa lavorare sul futuro. Questo materiale super-tecnologico, multiforme e dalle prestazioni quasi senza rivali è ritenuto infatti il successore dell’acciaio, che oggi è il materiale più utilizzato nelle costruzioni edili, ma anche nell’automotive, nell’elettronica, nei robot, negli elettrodomestici e in un’infinità di altre applicazioni. Il carbonio, pertanto, dovrebbe essere di grande interesse per i ragazzi che studiano materie tecniche, negli istituti tecnici, a ingegneria e nelle altre facoltà universitarie.

Cos’è la fibra di carbonio? Si tratta di un polimero composto da fili di atomi di carbonio lunghi e sottili legati insieme grazie a una formazione cristallina. La principale caratteristica del materiale è che, a fronte di una struttura estremamente sottile (per intenderci una fibra è ancora più sottile di un capello umano) e quindi leggera, ha una forza e una resistenza quasi imbattibili. Rispetto all’acciaio, la fibra di carbonio è cinque volte più forte e due volte più rigida.

Non tutte le opportunità di lavoro in questo promettente settore vengono da grandi aziende. Non mancano start-up e pmi che, soprattutto in Italia, svolgono attività interessantissime e meritano di essere viste con interesse dagli under venticinque. Anche solo per la loro storia, che ha molto da dire. È questo il caso, per esempio, della pmi meccatronica Loson, che stiamo per raccontarvi.

Loson è un’azienda specializzata nella produzione di manufatti in fibra di carbonio per l’industria, con sede a Rescaldina

I segreti meccatronici di Loson Compositi

Loson Compositi, azienda in provincia di Milano appartenente ad un gruppo da sempre attivo nel mondo delle plastiche, ha industrializzato di fatto il processo di lavorazione dei compositi in fibra di carbonio. «La nostra è un’attività ad alta intensità di fattore umano», dice Riccardo Sotgiu, azionista e Ceo. «Quello che facciamo è, in sintesi, portare in oggetti di uso industriale un materiale speciale che, per le sue elevate prestazioni, è stato utilizzato inizialmente nell’aerospazio o nelle auto di Formula 1. La fibra di carbonio è un materiale eccezionale e richiede, prima di essere impiegato in qualsiasi produzione, uno studio attento. Ecco che noi siamo consulenti prima che produttori».

 

L’importanza delle soft skill

Così, se la competenza tecnica ingegneristica è una conditio sine qua non per lavorare in un’azienda come Loson, le soft skill assumono un ruolo altrettanto fondamentale. «Nel mese di giugno abbiamo cercato ingegneri meccanici e stiamo facendo entrare un ingegnere dei materiali nel controllo di processo. Gli operatori sono senza dubbio tecnici specializzati, ma non è possibile acquisire tutte le competenze necessarie solo sui banchi di scuola: la formazione completa richiede il coinvolgimento diretto, in affiancamento a tutor esperti, nelle produzioni, prima le più semplici e poi via via le più complesse. Le caratteristiche che io cerco sono dunque affidabilità e capacità di metterci la testa, oltre a un’ottima manualità. Ogni operatore deve gestire un processo complesso che dura ore e deve farlo in autonomia. Esistono istituti e università che formano sulle competenze, ma il problema è il tipo di azienda che noi siamo, che è appunto di consulenza oltre che tecnica. Un operatore formato sul composito, ma abituato a camere bianche dove non si fanno prodotti in serie, non funziona da noi. L’operatività si può imparare, è l’attitudine che spesso manca. E quella non si può insegnare».

Anche l’ultimo entrato dunque, solo qualche settimana fa, è stato già mandato sul campo a parlare con le aziende clienti per capire quali bisogni hanno. La capacità di ascolto è la soft skill forse più importante per un dipendente di Sotgiu. «È qualcosa che collima con la mia visione di innovazione. Innovazione è riuscire a proporre qualcosa che risolva un problema a un cliente e che vada in produzione, subito o magari fra 3 anni. Il core del nostro business è dunque proporre soluzioni per migliorare il rapporto prestazioni/costi dei nostri clienti usando nel cuore il composito».

Tra i clienti di Loson figurano aziende leader mondiali nel settore dei trasporti, della robotica e del packaging

La visione di Sotgiu: si parte dall’economia circolare

La visione di questo ingegnere elettronico deriva da una storia lontana e che ha insegnato molto. «Ho iniziato in Pirelli, lavorando nelle fibre ottiche speciali. Non c’erano richieste in quegli anni di quello che oggi è uno standard per le telecom. Prima avevo fatto una tesi nel 2000 sugli oled, io ero un ricercatore nel settore quando nessuna tv utilizzava quella tecnologia. Poi in STMicroectronics; nella R&S ad Agrate c’erano due gruppi di lavoro: io ero in quello che si occupava delle memorie per i cellulari, con Nokia come cliente numero uno nel 2004. L’altro era il team che in Italtel si occupava di mems, le micromeccaniche che consentono la rotazione dello schermo: tutti credevano perdessero tempo fin quando nel 2007 Apple ha lanciato l’iPhone e integrato le mems. Su questa impostazione ho costruito la mia azienda. Faccio un altro esempio. Il composito, nel 2006, quando sono entrato in Loson, non lo usava nessuno nell’industria meccatronica. Ma è innegabile che l’inquinamento fosse già un grosso problema, l’energia una priorità e l’alleggerimento dei materiali una possibile soluzione. Noi ora andiamo sui treni, sulla robotica, sulle auto elettriche e sulle batterie connesse».

Insomma, Loson nasce da uno sguardo sul futuro e da un’idea profonda di sostenibilità, che si traduce, praticamente in fabbrica, nell’utilizzo «dello scarto fino all’ultimo strip. Sono state fondate nel tempo aziende per riciclare anche le fibre più piccole che vengono sminuzzate e ritrasformate in una fibra di minor valore che sta avendo un grande successo».

Se la competenza tecnica ingegneristica è una conditio sine qua non per lavorare in un’azienda come Loson, le soft skill assumono un ruolo altrettanto fondamentale

Un materiale versatile e sostenibile (che sta cambiando l’industria)

Dunque, nel 2006 Sotgiu lavora alla Harken, azienda del varesino che opera nella nautica da competizione, in particolare nella meccanica per le barche della Coppa America. «Ero responsabile dello sviluppo dei nuovi prodotti, in particolare mi occupavo dello studio e della validazione dei prodotti fino all’industrializzazione. In quel mondo ho conosciuto la fibra di carbonio. Lì ho deciso di mettermi in proprio e di focalizzarmi sul carbonio. Seguendo la vocazione territoriale, la Loson ha iniziato a lavorare nell’aeronautica, servendo clienti come Aermacchi e Agusta Westland, in settori in cui la ricerca dei materiali e la cultura degli stessi è molto avanzata. Nel 2010 la società ha iniziato l’industrializzazione, trasformandosi da officina a industria e successivamente è entrata a far parte del gruppo di famiglia, che fa polimeri plastici e si chiama Stp. Nel tempo siamo anche riusciti a coinvolgere nell’azionariato un ex partner di McKinsey».

 

Le fasi di lavorazione del tessuto

Il lavoro viene svolto in camera bianca e le fibre di carbonio sono stese a mano. «Per far sì che un progetto sia riproducibile deve essere industrializzato. Il composito si divide in famiglie di materiali, dalla fibra di carbonio, alla fibra di vetro e al cabler (fibre aramidiche, più di nicchia). Bisogna immaginare dei tessuti. La filiera è composta da aziende che producono il filo di fibra di carbonio, per lo più giapponesi, poi aziende tessili (alcune convertite) che tessono questo filo e fanno trama e ordito. Dal tipo di filo e pattern dipende il lavoro. Quello che fa Loson infine è sovrapporre tessuti in direzioni diversi. A legare i diversi strati sono resine termoindurenti, che il fornitore deposita nel tessuto con calandra: resine che con la temperatura si saldano e si induriscono». Le resine, come le fibre, hanno infinite formulazioni epossidiche, fenoliche ecc, e diverse prestazioni. La materia prima ha quindi molta complessità. Le resine si attivano termicamente e dunque devono essere tenute in celle frigorifere monitorate a -20 gradi dove hanno tempo di vita di un anno. Insomma, fin dalla gestione della materia prima, si evince che il lavoro sia molto articolato.

«I tessuti impregnati devono essere infine trasformati: realizzando forme. Che devono assecondare l’uso per cui andranno impiegate. Se devo costruire una racchetta da tennis: devo considerare che deve essere elastica, deve flettersi e avere bilanciamento, considerare il peso di chi la tiene in mano. In base a queste caratteristiche studiamo il materiale. Che si progetta, in termini di composizione e stratificazione, per avere reazioni opportune quando colpisco la pallina. Infine, compiamo tutte le misurazioni utili per validare quello che viene realizzato».

 

Il composito si divide in famiglie di materiali, dalla fibra di carbonio, alla fibra di vetro e al cabler

La costruzione dei modelli

Un’altra parte fondamentale del lavoro di Loson è la costruzione dei modelli e degli stampi, in metallo, plastica o carbonio, usati per depositare fibre di carbonio, operazione che viene fatta a mano. «L’ingegnere progetta lo stampo e in camera bianca gli operatori specializzati ricevono le nostre istruzioni su come depositare strato per strato, tessuto per tessuto. Abbiamo macchine da taglio simili a quelle usate nel tessile, per tagliare le sagome, che l’operatore sovrappone rispettando i versi e per raggiungere il risultato. Infine, il materiale viene chiuso con il controstampo e va in autoclave, ovvero in forni in pressione ad alta temperatura per attivare le resine e compattare i tessuti. Il composito epossidico viene usato per resistere dai 130 gradi centigradi che si raggiungono nell’automotive, ai 180 dell’aeronautica. La parte finale è la lavorazione meccanica che consiste nell’unire fibre con altri materiali».

 

Ricerca pura vs ricerca applicata

Al cuore di Loson un gruppo di ingegneri che lavorano su condizioni estreme e intendono tenere fede a questa loro missione. «Da Agusta abbiamo portato progressivamente le competenze verso altre aziende. Il mondo del composito fino ad alcuni anni fa era appannaggio dell’aerospazio e delle grandi competizioni di nautica sportiva o di Formula 1. Con la cultura ingegneristica dei grandi progetti abbiamo adottato un’ottica consulenziale per sviluppare prodotti per settori diversi basati su questo composito. E soprattutto all’inizio ci siamo scontrati con una verità spiazzante: nessun settore industriale ne conosce l’applicazione, all’inizio ricevevamo disegni pensati per i metalli e la richiesta di produrre la stessa cosa in carbonio, impossibile». Così Loson ha compreso che prima di fare i prototipi, si doveva pensare all’applicazione pratica. «Abbiamo dovuto effettuare un cambiamento copernicano rispetto alla R&S pura che facciamo quando lavoriamo per l’Istituto di Fisica Nucleare e nel settore dell’aerospazio, costruendo pezzi che volano verso Mercurio, con materiali speciali e valore corrispondente. Tante aziende venivano da noi per chiedere il prototipo: ma non serve o è dannoso per i conti dell’azienda. Prima di fare prototipazione bisogna capire se il carbonio sia veramente utile e dove», spiega Sotgiu.

Riccardo Sotgiu, azionista e ceo di Loson

 

I colossi che vogliono la fibra di carbonio

«Con una grande azienda di automazione abbiamo svolto un’attività di co-design per il loro robot collaborativo. La richiesta era creare scocche in composito: in realtà le abbiamo fatte di vetroresina usando il carbonio solo nelle zone di irrigidimento». Un’altra storia emblematica dell’importanza di fare innanzitutto consulenza riguarda un’azienda italiana che realizza macchine per il packaging. «Avevano l’esigenza di costruire carter più leggeri rispetto a quelli in alluminio, che pesano 20 chili e servono per trasportare cibo confezionato alla fine della lavorazione. Il disegno che ci aveva mandato l’azienda prevedeva una struttura con un pannello di 8 mm di spessore, com’era quello in alluminio: una quantità di materiale che ha un costo proibitivo, inutilmente, perché il carbonio non si flette, a differenza del metallo. Da lì l’idea: abbiamo proposto di fare il pannello a sandwich con l’interno a nido di ape, un materiale che si usa sugli aerei ATR e che si chiama Nomex: non pesa nulla ed è molto meno costoso. I carter sono diventati oggi un prodotto». La morale di queste storie è una: il composito è molto sofisticato e ha proprietà eccezionali, che devono essere usate con esperienza per ottenere i risultati desiderati. E facendo le cose bene si ottengono vantaggi importanti i termini di performance tecnica e spesso anche di efficienza per il cliente finale.