Il comparto ha una forte vocazione all’export: il 60% del suo fatturato deriva delle vendite fuori dai confini nazionali. E ha già recuperato, in revenue ed esportazioni, il terreno perduto con il lockdown. La sfida? Colmare il mismatch tra domanda e offerta di profili tecnici e digitali. E si può vincere con un dialogo continuo tra industria, ricerca e università

 

Un ambiente internazionale, a elevato tasso di innovazione e fortemente proiettato alla costruzione del futuro. È la fotografia della meccatronica, che si caratterizza per una forte vocazione all’export (circa il 60% del suo fatturato deriva delle vendite fuori dai confini nazionali, contro il 38% della media della manifattura e contro il 13% di tutte le imprese italiane) e un importante contenuto di tecnologia. Tutte caratteristiche che ben si sposano con le aspettative dei giovani alla ricerca di lavoro. I Gen Z, nati dal 1996 al 2015, sono i figli del mondo globalizzato, e sono anche i cosiddetti nativi digitali, per cui la tecnologia è norma. Sono i depositari ideali delle competenze digitali che spesso mancano invece alle industrie meccatroniche, ma sono anche alla ricerca di flessibilità, di ambienti stimolanti e diversi, di crescita personale e viaggi intorno al mondo.

Ma sono anche i figli della Grande Recessione, alla ricerca di stabilità, come attestano diversi studi, per esempio Deloitte. Di tutte queste aspirazioni la meccatronica può diventare habitat naturale. Compresa la solidità: perché nel post Covid ha già recuperato, sul fronte del fatturato e delle esportazioni, il terreno perduto nei mesi lunghi del lockdown e crescendo, su entrambi i fronti, nel primo semestre del 2021 più che nel 2019 e più della Germania, verso cui siamo eterni secondi. Sono i risultati che emergono da un report del centro studi Antares, dal titolo, emblematico, “Resilienza Meccatronica”. Una parola “resilienza”, che si usa spesso e non sempre a proposito. E che indica la proprietà fisica di certi materiali di assorbire gli urti e ritornare nella posizione iniziale senza grossi danni (o di cambiare forma per adattarsi alla nuova condizione). Applicato al business il concetto è esattamente lo stesso: la meccatronica è resiliente perché ha assorbito gli urti del Covid e poi è tornata a marciare.

Un settore internazionale e vocato all’export

Tutti i diversi segmenti della meccatronica presentano, in Italia, complessivamente un’elevata propensione all’export che ne fa un comparto con un forte imprinting internazionale, è stato un problema con la pandemia: e infatti nel primo semestre 2020, l’export meccatronico ha subito una contrazione maggiore (-20,4%) rispetto agli altri settori (-12,5%) proprio a causa di una maggiore esposizione internazionale. Un calo che è stato maggiore anche della media europea (-15,4%) e il secondo peggiore tra i diversi Paesi (solo la Francia ha perso di più). Particolarmente significativa è stata la riduzione di circa un terzo dell’export verso il Regno Unito a seguito dell’effetto combinato di uscita dall’Eu a 28 e dalla crisi pandemica. Significative (cioè superiori al 30%) le riduzioni di export verso Asia Centrale (India inclusa) e America Latina. Poi però ha compiuto un balzo poderoso, recuperando non solo tutto il terreno perdo, ma ponendosi a un livello superiore del 3% rispetto a quello del 2019 e facendo meglio anche della Germania, che resta la fabbrica meccatronica d’Europa.

Perché? Una spiegazione sta nell’indicatore di dipendenza dalle filiere nazionali – che fotografa quanto export verso filiere esterne sia generato grazie a forniture esclusivamente nazionali. Ebbene, in almeno tre settori l’Italia è autonoma (ovvero dipende solo da filiere nazionali): packaging, macchine agricole e alimentari e chimica farmaceutica, che sono anche i segmenti in cui siamo più forti. Questo è bastato per dare alla meccatronica italiana una forza relativa e a subire meno la crisi della supply chain. La Germania invece non solo è fortemente sbilanciata sull’automotive, che è ancora in calo, ma molto più dipendente dalle filiere globali. Le industrie meccatroniche italiane sono insomma fortemente internazionalizzate: l’Unione Europea rappresenta il principale partner dell’Italia (oltre il 53,2% dell’Export) e la Germania rimane il primo partner europeo.

I segmenti e le destinazioni più “resilienti”

Quando l’export è in generale crollato, ci sono state tuttavia delle differenze nell’impatto del duplice shock di domanda e offerta: ci sono stati cioè segmenti che anche nel periodo più buio hanno continuato a crescere e a esportare. Per esempio, la divisione mezzi di trasporto, in perdita su tutti i mercati, mostra segnali di controtendenza sugli Usa. La divisione computer, apparecchi elettronici, elettromedicali è quella più in controtendenza (ha variazioni positive su 8 destinazioni, in particolare verso gli Usa). «Si conferma, in tal modo, che esistono catene del valore, dentro il comparto della meccatronica, che hanno continuato a operare nonostante la fase dirompente come quella avvenuta nel 2020. Imprese e territori che si trovano all’interno di queste catene del valore hanno visto attutito l’impatto della crisi», spiegano gli analisti di Antares. In media in ogni caso la capacità di ripresa del comparto è superiore di quasi tre punti rispetto ai settori non meccatronici.

La fotografia della meccatronica italiana

Insomma, l’industria meccatronica italiana è un settore solido e capace di reggere gli urti poderosi delle incertezze. Le imprese meccatroniche sono oltre 51mila e occupano 980mila addetti. Quelle di produzione (escludendo la progettazione e l’ingegneria) sono 32mila (+1% anno su anno) con 900mila dipendenti (+1,4%) e 280 miliardi di euro di fatturato. Le imprese sono concertate in 5 regioni, ovvero Emilia, Lombardia, Friuli, Marche e Veneto. E in 25 province (oltre il 57% delle aziende) di cui 21 nelle succitate regioni. Delle 30 province censite dal report di Antares, 25 hanno una propensione all’export di prodotti meccatronici più alta rispetto alla media nazionale (21 collocate nel Centro-Nord) e al contempo hanno una diffusione dell’export su scala mondiale, più equilibrata fra diversi paesi/aree. Queste 25 province, nei primi sei mesi del 2020, hanno esportato 43 miliardi di euro in prodotti meccatronici che corrispondono a circa due terzi dell’export meccatronico italiano. Nei territori dove è maggiore il peso dell’export della meccatronica, maggiore è il valore aggiunto medio per impresa.

A traino della ripresa economica italiana

Sono le ragioni per cui questo settore può fare da traino all’intera economia italiana. E non a caso i dati di Anima, l’associazione di categoria afferente a Confindustria, proiettano la meccatronica italiana a quota 52 miliardi di euro a fine 2021: record assoluto in termini di volumi e dato più alto rispetto al 2019. Certamente non mancano sfide complesse: la maggiore è probabilmente quella che riguarda il mismatch tra domanda e offerta di profili tecnici e digitali. Un mismatch che secondo un altro studio recente, il Market Watch pmi di Banca Ifis, emerge con forza sul fronte delle conoscenze tecnico-digitali: il 58% delle aziende che reputa necessarie nuove skill in ambito produttivo non trova il personale ricercato, così anche per il 37% delle imprese che considera fondamentale la capacità di gestione delle tecnologie 4.0. Anche se il Market Watch guarda al complesso di tutte le pmi italiane, non solo a quelle meccatroniche, è chiaro che le competenze richieste e difficili da trovare sono proprio quelle che abilitano la meccatronica.

D’altro canto il report di Antares sottolinea anche che la meccatronica presenti, rispetto alla media dell’industria italiana, una maggiore propensione all’innovazione e alla trasformazione digitale. Sulla base di un panel di 400 imprese dell’Emilia-Romagna, oltre il 40% delle meccatroniche dichiara di affrontare un percorso di innovazione e di trasformazione digitale, contro appena un terzo delle imprese non meccatroniche. Ma per alimentare questa tensione è necessario un dialogo continuo con la ricerca e l’università, da cui promanano tecnologie e soprattutto tecnici da inserire in organico. Insomma, la pandemia potrebbe essere stata per la meccatronica italiana un punto di partenza per riprendere a correre e forse smettere di essere eterna seconda nel Vecchio Continente. Ma questa sfida si può vincere solo con le competenze.